Lettera
aperta
Prato, 29 agosto 2017.
Pensiamo che sia utile, in questo momento, far sentire la nostra voce
più compiutamente di quanto fatto sabato scorso, a caldo. Perché
pensiamo che dopo il momento del cordoglio debba esserci quello della
analisi e della proposta.
La nostra vicinanza e il nostro cordoglio, che rinnoviamo, va alle
famiglie di due persone, due lavoratori, che non sono stati uccisi da
un “incendio”, ma da un sistema illegale che non è stato
contrastato a sufficienza.
È necessario che chi di dovere prenda atto della realtà per come è:
siamo, da anni, di fronte a un “sistema”, e non a
4000 aziende che operano liberamente sul mercato e che, in base a
scelte individuali decidono se lavorare legalmente o meno, e che, di
conseguenza, sarebbero da contrastare singolarmente.
E altrettanto palese che la forza di questo sistema è data dalla sua
capacità di produrre, illegalmente, una ricchezza enorme, con la
quale l’illegalità viene finanziata per produrre nuova ricchezza
e, di conseguenza, nuova illegalità.
Ad oggi, questo circolo vizioso, malgrado gli sforzi e gli
interventi fatti, non è stato minimamente rallentato. Questo perché
è mancata un’analisi e una strategia che affrontasse il problema
da un punto di vista sistemico e, di conseguenza, produttivo.
Per questo, lo scorso inverno, abbiamo, per l’ennesima volta,
denunciato le condizioni di lavoro nel sistema e abbiamo promosso un
protocollo tra tutte le forze produttive e sociali che facesse
un’analisi condivisa e la mettesse per iscritto, proponendo gli
interventi relativi, per profilare una possibile soluzione.
Già da sei mesi queste cose sono scritte su un protocollo condiviso,
che siamo andati a presentare a tutti gli organi di controllo, ed è
a disposizione di tutti. E che consigliamo di rileggere, anche alla
luce della tragedia di sabato.
Per sintetizzare il protocollo, descriveremo il sistema illegale e la
sua filiera produttiva con una metafora.
Immaginiamo di essere davanti a una belva feroce, per sua
natura molto scaltra. Una belva che si nutre della ricchezza
illegale e che per molto tempo è stata considerata solo ladra, ma
che si è dimostrata assassina.
Questa belva ha una testa: i committenti dell’abbigliamento
che ordinano il tessuto e i capi finiti; un cuore che pompa
linfa vitale a tutto il corpo: le stamperie, le tintorie e le
rifinizioni; e le zampe: le 4000 aziende di
confezioni che, sul territorio, tagliano e cuciono i capi (tutte,
singolarmente, sacrificabili per il sistema).
Si è interpretato che fossero stati gli artigli di queste
zampe (impianti elettrici manomessi, dormitori, bombole del gas etc,)
a causare la tragedia di via Toscana. E si è intervenuti per
strappare gli artigli alla belva. Cosa meritoria, che ha anche
raggiunto l’obbiettivo, almeno fino ad oggi, di non dover più
piangere morti all’interno dei capannoni produttivi.
Sembrava che questo avesse prodotto delle zampe senza artigli
(capannoni senza dormitori e affittacamere abusivi) ma comunque senza
ridurre il numero delle zampe, che sono rimaste 4000. Oggi invece ci
accorgiamo che le zampe sono addirittura aumentate, perché la belva,
scaltra, si è messa qualche guanto che non ci fa più
scoprire gli artigli (impiantando le aziende dentro gli
appartamenti).
Oggi noi ribadiamo che non ci possiamo permettere di sbagliare
obiettivo, magari cercando le modalità di scoprire i guanti. Bisogna
colpire la belva al cuore e alla testa. E ridurle il cibo. E questo è
quello che dice il protocollo.
Il grosso della capacità di produrre ricchezza, il cibo della
belva, è dato dal lavoro nero, mancate retribuzioni e mancate
contribuzioni. Il flusso produttivo passa dal cuore, poche
aziende di tintoria, stamperia e rifinizione dal quale è certamente
passato anche il tessuto che alimentava le taglia e cuci
dell’appartamento della Tignamica. Nel protocollo abbiamo
denunciato uno sfruttamento del lavoro su base etnica e abbiamo
chiesto controlli specifici, preceduti da operazioni di intelligence
ed eseguiti da squadre interforze che verifichino i rapporti di
lavoro. Con l’obbiettivo di obbligare queste aziende alla
regolarizzazione della manodopera e al pagamento delle retribuzioni e
contribuzioni previste.
E contestualmente il protocollo indica di colpire la testa, i
committenti. Infatti da controlli eseguiti nelle modalità proposte
emergerebbero chi sono i committenti e a questi andrebbe
richiesto, in quanto responsabili in solido con le tintorie
etc, le retribuzioni e le contribuzioni non versate. Cosa prevista
per legge e suggellata dalla nostra vittoria in una causa pilota
presso il Tribunale di Prato.
Questa strategia, se attuata, colpirebbe il sistema nelle sue parti
più sensibili e quindi, per la prima volta, nella sua capacità di
produrre ricchezza illegale. La conseguenza sarebbe la riduzione dei
volumi della produzione illegale e l’attivazione di un processo di
selezione virtuosa che, con l’aumento dei costi imposto toglierebbe
nutrimento al sistema illegale e metterebbe “fuori mercato” le
aziende che sono in grado di lavorare solo per quello.
Ciò garantirebbe che quella parte del sistema dell’abbigliamento
disponibile a operare nelle regole e in grado di competere sul
mercato legale (una ristretta minoranza delle attuali 4000 aziende
attuali) possa, finalmente, provare a farlo senza essere soffocato
dalla concorrenza illegale.
Forse l’analisi del protocollo, firmato da sindacati, industriali e
artigiani, è completamente sbagliata, e quindi lo sono anche le
proposte. Ma questo ad oggi non ce l’ha detto nessuno. Se invece
l’analisi ha un suo fondamento, non sarebbe bene tenerne conto?
p. la segreteria Filctem-Cgil di Prato
Massimiliano Brezzo