lunedì 17 ottobre 2016

Sempre più voucher ma a discapito dell’occupazione.

Giovanni Santi (nella foto) “Così il lavoratore non ha più tutele”
Il lavoro accessorio, noto più comunemente con il nome degli assegni utilizzati per il pagamento, voucher, è diventato in Italia l'ennesima stortura di un sistema nato per risolvere un problema ma che ne ha causati molti altri senza risolvere il primo.
Oltre alla testimonianza di Marco (nome di fantasia) un giovane ventunenne vaianese che da qualche mese lavora grazie a questi voucher e ne è felice, Bisenziosette è andato alla Cgil di Vaiano per capire questo fenomeno.
«Intanto - spiega Giovanni Santi della Cgil della Val di Bisenzio - bisogna dire che un lavoro come quello
di Marco (lavora tra le quindici e le venti ore alla settimana) fino all'avvento dei voucher era semplicemente un lavoro part-time.
Venti ore settimanali non è un lavoro accessorio, non è un lavoro a chiamata o stagionale. E questo è un esempio perfetto della storpiatura che ha avuto questo tipo di lavoro retribuito».
Il pagamento tramite voucher è nato nel 2003 con la legge Biagi. Si trattava di un tentativo di far emergere prestazioni a nero.
«Nacque - spiega Santi – per il mondo dell'agricoltura e per tutti quei lavori stagionali in questo settore come la raccolta delle ulive, dell'uva, della frutta o altro.
Poi fu allargato ad altri tipi di lavoro, prima di tutto i lavori domestici e ad alcuni settori del commercio, servizi e ristorazione e per tutte le attività "accessorie" al core business di un'azienda, quindi per esempio chi va a fare le pulizie nello stabile di quell’azienda o altro».
I voucher sono quindi nati tredici anni fa, ma il fenomeno è esploso negli ultimi tre o quattro anni.
I salti più vistosi, come si può vedere anche dalla tabella riportata dal sito dell'Inps, sono avvenuti tra il 2013 e il 2015, due anni in cui l'utilizzo di voucher è raddoppiato di anno in anno.
In Toscana, per esempio, siamo passati da 885.698 voucher venduti nel 2013 a 1.851.570 (quindi più che raddoppiati) a 3.471.757 voucher nel 2015.
«Chi lavora tramite voucher perde diritti e contributi a suo favore. Non c'è un contratto - spiega Santi - e quindi non c'è un legame con l'azienda. C'è piena libertà per il titolare di fare quello che vuole: se ti richiama bene, altrimenti se non lo fa non ha nemmeno dovere di avvertirti».
C'è poi la questione sui contributi: «Quel poco che viene pagato di quei dieci euro l'ora, ovvero solo 1.30 euro, vanno in contributi per il lavoratore, ma sono talmente pochi che non consento né una pensione futura ne alcun diritto da un punto di vista di maternità, disoccupazione ed altro.
In pratica per tutti quei diritti acquisiti dai lavoratori dipendenti».
Il problema poi dei voucher è che si tratta di un mondo sommerso, molto nascosto.
«La Cgil ha chiesto – spiega Santi -, tramite una raccolta firme, l'abrogazione dei voucher:
un sistema che doveva essere curativo per il lavoro a nero, ma che si è rivelato malato a sua volta. La legge sul lavoro accessorio e le varie modifiche tra cui l'ultima del Jobs Act proprio di settembre di quest'anno, ha fatto ricadere sotto il mondo dei voucher tutta una serie di rapporti lavorativi prima diversificati, quindi adesso vicino al lavoro in nero».
Andando poi sui dati provinciali piega: «Purtroppo noi non li abbiamo. Si presume che siano proporzionalmente uguali a quelli nazionali, perché i numeri si eguagliano un po' ovunque, ma il nostro è solo un sentore».


Fonte: Bisenziosette (14/10/2016).

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